Il Ciad: dove cambiamento climatico e land grabbing stanno mettendo in ginocchio un’intera nazione

Ogni anno milioni di persone sono costrette ad abbandonare le loro terre natie a causa di disastri ambientali, nel 2020 milioni di persone sono state costrette a emigrare in cerca di condizioni di vita migliori e più stabili. Un esempio tra tutti è la situazione che si protrae da anni in Ciad.

In Ciad la corsa al petrolio aveva svegliato così tante speranze per lo sviluppo del paese è divenuto, dopo anni di sfruttamento, un incubo che ha trasformato il sognato paradiso in inferno. Dall’altro lato recenti rilevazioni satellitari hanno lanciato l’allarme sulle condizioni dì salute dei lago, che già da qualche anno preoccupa gli scienziati in quanto rischia di scomparire trasformandosi in uno sterile acquitrino.

Lo sfruttamento del petrolio ha distrutto il sistema di produzione paesana, privando gli agricoltori dei mezzi di sussistenza, inquinando le acque, i suoli e l’aria, dividendo la popolazione e seminando la disperazione specialmente tra i giovani.

La maggior parte di villaggi della regione di Doba (regione del Ciad) avevano una buona produzione agricola. Le famiglie avevano del buoi, carretti, biciclette ed un tetto fatto di lamiera sulle loro case. Oggi la prosperità è solamente una memoria e la disperazione cresce nella regione dove la manna del petrolio si è trasformata in maledizione.

Più di 4.000 famiglie, coinvolte dal progetto, sono abbandonate alla loro triste sorte. Il consorzio dello sfruttamento della ESSO si è impossessato di più del 60% dei terreni coltivabili della zona per le sue multiple installazioni che hanno superato di gran lunga le previsioni. Le infrastrutture di petrolio occupano superfici coltivabili e riducono lo spazio vitale della popolazione.

Campi coltivabili e infrastrutture di petrolio si mescolano. In 25 villaggi c’è un totale di 1.112 pozzi, 27 collettori, 6 unità di raccolta e 34 cave di pietre! Delle popolazioni intere sono state spostate; la superficie coltivabile è diminuita; i villaggi rimangono inclusi nel mezzo delle installazioni di petrolio; i luoghi sacri sono desacralizzati.

Savana, foreste, paludi e terre incolte da più di un anno sono prese senza autorizzazione. Comunque, la popolazione usava queste terre per attività complementari all’agricoltura: campi di cespuglio, ricerca di funghi, frutta, miele, medicine, legno, caccia, pesca, pascolo. Il sistema di produzione tradizionale è stato distrutto. Nessun accompagnamento è stato messo in luogo per aiutare verso la riconversione delle popolazioni che non possono più vivere dei prodotti delle loro terre.

Un altro aspetto che determina l’impoverimento e il conseguente spopolamento del Ciad è la situazione del lago che negli ultimi 40 anni ha visto una riduzione del 90% della sua superficie, passando nella stagione delle piogge dai 25.000 km² del 1960 agli attuali 2500. Le cause del lento ma inarrestabile processo di prosciugamento del lago vanno cercate, da un lato, nella situazione ambientale: le terribili siccità che hanno colpito la regione del Sahel negli ultimi trent’anni, le scarse precipitazioni (con un deficit pluviometrico accertato del 50-65% dal 1970), la forte evaporazione, le infiltrazioni nel sottosuolo; dall’altro, nella cattiva gestione delle risorse idriche da parte dei governi locali, che hanno sistematicamente ignorato gli allarmi degli scienziati e continuato a sfruttare indiscriminatamente le acque con
canali di drenaggio per l’irrigazione delle aree coltivabili. Questa pratica, aumentata in maniera incontrollata nell’ultimo decennio è in gran parte responsabile del prosciugamento del lago.

Considerata l’importanza naturalistica, culturale ed economica di questo ecosistema, la prospettiva di un prosciugamento del bacino rischia di tradursi in un disastro ambientale e umanitario di proporzioni tali da minacciare la sicurezza alimentare delle popolazioni rivierasche (oltre 22 milioni di persone) e scatenare migrazioni forzate. Basti pensare, ad esempio, che la produzione di pesce essiccato è passata dalle 140.000 t del 1960 alle 45.000 attuali.

Possiamo dunque capire come gli abusi degli stati occidentali vada a influire sulla vita e la stabilità dei paesi del terzo mondo. A partire dalle emissioni di gas serra che vanno ad accelerare e incrementare i disastri ambientali, per arrivare all’idea di sviluppo capitalista malata che va a sfruttare e impoverire le terre e le popolazioni. Dobbiamo quindi comprendere che questi flussi di persone si migrano non per loro volontà perché costrette da queste politiche economiche distruttive.

Fabrizio De Andrè nella sua canzone del maggio ci avvertiva del pericolo dell’indifferenza, la più grande bestia, cantandoci “anche se voi vi credete assolti siete comunque coinvolti”