Si poserà su di noi un inesplicabile soffio tetro a sussurrarci la sublimazione dell’ultimo attimo concretamente vivo; infine ci costringerà al pensiero di un terminale congedo. Ci coglierà incoscienti, senza proferir alcun sibilìo di voce, con un impeto flebile, ma che lentamente dissipa ogni angolo di respiro, fino a scucirlo per sempre dall’abitudinaria materialità del corpo. Giungerà con parole mute, ma ricolme di un ardore angoscioso e della nostra vita non rimarrà che un solitario afflato, costernato all’ignoto. Racchiusa nell’iride imbiancato di un corpo esanime, la morte si rende viva, saziandosi di un altro sospiro. Aspirando ai cieli, l’anima, in un tripudio caotico, si completa nella sua reale essenza in uno dei tre regni danteschi e sommerge qui per l’eternità il riflesso veritiero della vita condotta sulla dimensione terrena.