Agnese, mio gioiello

« Un espresso». Chiese brevemente Filoteo al cameriere, masticando tra i denti le sillabe unite al dialetto e stringendo troppo forte sull’ultima, facendola apparire tranciata. Non se n’era nemmeno accorto: come poteva esserlo se, ora più che mai, non prestava nemmeno un briciolo della sua attenzione a ciò che gli accadeva intorno.

A parlare era solo la carta su cui incideva di getto, quasi scarabocchiando, ogni suo pensiero del momento. Non ci rifletteva nemmeno, teneva occupata la mente in quel flusso di coscienza in modo tale da ignorare il resto del mondo. Perché sapeva che se si fosse distratto, avrebbe ripensato troppo alla sua scelta. Lui si conosceva, se ci avesse ripensato avrebbe preso gli ultimi stracci e sarebbe tornato a casa.

” Agnese, piccolo gioiello.

Ti scrivo ora e forse sarà l’ultima volta, prima che qualcuno mi trovi morto in mezzo ad un prato di margherite. Sei l’unica a cui scrivo. Custodisci questa lettera finché respirerai, così potrò aver la sensazione che in fondo, la mia vita non è stata gettata via. 

Non cercarmi e non chiedere di me. Non voglio che assassini e serpi sappiano di me come un povero uomo disperso, forse morto o forse sparito. Semmai mi conosceranno non voglio che sappiano il mio nome umile. Verranno a conoscenza della canna del mio fucile e forse a stento vedranno, per un attimo che durerà meno d’un secondo, il mio viso. 

Non voglio che i futuri conoscano il mio nome, ma ci tengo che sappiano che ho vissuto. E qui non c’è questa possibilità: se rimango fermo diventerò cenere e mi spazzeranno via quando Ortona sarà a terra. Elimineranno ogni traccia di gente come noi, che sa solo tagliare le patate e mungere le mucche, se non lasceremo l’animo nelle mani dei diavoli. “

Era bravo a fingere per penna. Bastava solo ricercare qualche parola che suonasse autorevole o un accostamento che suonasse convinto. Ma mai Agnese avrebbe creduto a quelle parole se le avesse sentite pronunciate dalla sua voce e con gli occhi puntati sul suo viso consumato dal lavoro. 

Perché per quanto potessero sembrare belle, la verità è che nessuna era pronunciata con convinzione. Ed anche se quei ideali erano giusti, e Filoteo lo sapeva, non erano davvero compresi fino in fondo. Erano come ripetuti a memoria, una cantilena che aveva imparato nei pochi giorni precedenti, ma che non aveva lasciato nel cuore di un contadino come gli altri ancora nulla, o probabilmente quel qualcosa era stato nascosto dall’insicurezza e dalla naturale indole codarda di ogni uomo. Non importa quanto si finge, si è sempre propensi a scappare per salvarsi. Solo i più coraggiosi riuscivano a reprimere quell’istinto e diventare eroi.

” Se qualcuno mai dovesse chiederti a chi appartiene la tua lealtà, fingi. Abbassa l’onore e salvati la pelle. Ma, è una promessa, combatterò in modo tale da non farti più mentire. Se ora sto partendo è solo per questo; per permettere a te, così come ai tuoi figli — che pregando Iddio avrai — e ai tuoi nipoti, di esprimersi senza catene.

Non voglio fare promesse per il mio ritorno, perché non lo farò. Io morirò in un campo martoriato ed i miei compagni calpesteranno le mie ossa per uccidere chi ha deciso di alzare la destra in una volontà malata. E se non lo farò, una parte di me morirà lo stesso. La vita mia, dell’ultimo dei Pelapatate, finirà quando imbraccerò la mia arma e il nostro cognome svanirà. 

Agnese, mio piccolo gioiello.

Vorrei poter tornare da te ed abbracciarti. Ti stringerei come facevo quando eravamo piccoli e le coperte non bastavano per scaldarci, ed era troppo tardi per accendere un fuoco. Vorrei tornare da te, ma sarei codardo e ti condannerei ad una sopravvivenza non assicurata. Io voglio che tu viva, anche se io non sarò lì a vederti crescere come avrei voluto. Se il Signore mi concederà anche solo una sera nelle mie giornate barcollanti la userò per pregare per la tua salvezza. “

Lo era già codardo. Quella lettera era solo un pretesto per perder tempo, per essere sicuro della strada senza uscita che stava per intraprendere. E più ci pensava più le gambe gli tremavano, il respiro gli veniva a mancare ed il cuore mancava un battito. Aveva cominciato a scrivere per non ripensarci, ma a quanto pare anche questa volta mentiva a sé stesso. Lo aveva sempre fatto.

Mai prima d’ora era spaventato del suo destino. E se lo era adesso, come avrebbe reagito quando davanti a lui si sarebbe opposto un uomo dalla divisa diversa? Con che pretesto sarebbe riuscito a combattere se nemmeno sapeva sparare? Le motivazioni erano valide, ma sarebbe riuscito davvero nel suo intento o la sua morte non avrebbe fatto alcun cambiamento?

La sua virilità per qualche attimo sembrò cedere. Stava per piangere dalla paura, mentre sbatteva velocemente la gamba sotto al tavolo in preda al nervoso, ma non poteva permetterselo. 

Si sentì ancora più codardo: molte persone avevano dovuto seguire la sua stessa strada e non potevano aspettare come stava facendo lui, né tanto meno avevano avuto il solo pensiero di piangere. E, a differenza sua, loro dovevano lasciare anche gli amori di una vita ed i loro figli. 

Lui era fortunato a loro confronto. Doveva sentirsene grato e smettere di aver paura. 

Doveva essere un uomo, non era più un ragazzino. Diciotto anni li aveva compiuti, una moglie non l’aveva ancora trovata, ed allora cosa aspettava a dimostrare il suo valore in battaglia? Come altro si sarebbe fatto valere uno come lui, di una provincia banale, di una famiglia con poche aspettative?

Mentre la sua testa veniva inebriata di paure e di pensieri che lo rendevano ancora più insignificante di quanto già non fosse, e mentre la penna non esitava a fermarsi per evitare che quelle paure diventassero ancora più grandi da sfuggirgli, il cameriere ritornò con un vassoio. 

Prese la tazzina dal piattino sottostante e, nel farlo, lo sguardo gli cadde sullo scritto del cliente. E non fu l’unico a cadere: troppo preso da quel poco che riusciva a decifrare di quella scrittura disordinata, la presa del piatto gli scivolò ed il caffè si rovesciò. Cadde tutt’indosso al ragazzo, che bruscamente si ricollegò alla realtà e lanciò un’occhiataccia contro il colpevole.

Si scusò velocemente e, vergognato, andò, a passi veloci, a prendere una scopa per raccogliere ciò che ne rimaneva della tazzina.

Filoteo si guardò intorno per qualche breve istante, per riprendere contatto con la realtà dopo così tanto che l’aveva ignorata. Notò qualche macchia sul foglio dovuta al caffè e subito s’accertò della condizione di questo. Sospirò dal sollievo quando s’accorse che era tutto ancora leggibile.

Osservò la penna ed allungò la mano per riprenderla, ma esitò nel farlo. Sapeva che, se l’avesse ripresa, avrebbe temporeggiato ancora. 

Contemplò davanti a sé, ma non fece in tempo ad esternarsi di nuovo dal mondo che posò, per errore, gli occhi su dei clienti appena entrati. 

Erano una madre ed un figlio. Avevano lo sguardo cupo come pochi altri. La madre aveva le guance scavate ed il viso martoriato, che di femminile aveva ben poco. Anche il piccolo era così, la sua giovinezza era stata prosciugata da responsabilità troppo grandi per qualcuno che aveva meno anni che dita in due mani.

Gli parve, per un istante, di vedere il futuro d’Agnese: sposa di qualcuno che non avrebbe potuto mantenerla, costretta così a spaccarsi la schiena e farla spaccare anche al figlio per portare a tavola un pezzo di pane e poco più, in un paese rovinato dalla guerra, che non le assicurava nulla e che, probabilmente, non avrebbe mai raggiunto una seconda volta la bellezza d’un tempo. Una vita talmente penosa che l’idea gli fece accapponare la pelle. Si sentì ancora più male a quando pensò che quella poteva essere la vita migliore a cui sua sorella, la sua ragione di vita, poteva aspirare. Perché, se qualcuno avesse scoperto che il suo cuore non era corrotto come quello dei fascisti, il massimo a cui poteva aspirare era diventare cenere. 

Sentì una pressione al petto capace di farlo contorcere.

Se tutti avessero avuto paura come lui, allora niente poteva cambiare ad Ortona. Non poteva ritirarsi ora, se davvero voleva che tutti potessero vivere senza catene immorali.

” Non ho più tempo, Agnese. Ho paura, ma devo partire. Su di te veglierò per sempre, anche se andrò nell’inferno. In te ho creduto sempre, qualsiasi cosa tu voglia fare in futuro so che ci riuscirai. Sei sempre stata forte, hai ripreso da mamma.

Ti voglio bene, ed il mio amore per te non morirà mai, anche se io presto lo farò. 

Stammi bene, sorella mia. “

S’infilò la penna in tasca e piegò quanto meglio il foglio. Lasciò sul tavolo qualche moneta per pagare il caffè che, nonostante tutto, non aveva nemmeno bevuto, e uscì, tirando con sé ciò che doveva fargli da valigia, con tutto quello d’importante per lui.

Con gli ultimi spicci che gli rimandano nelle tasche comprò una busta per lettera ed imbucò in una cassetta la propria, dopo aver segnato l’indirizzo. 

Si allontanò poi da lì e riprese a camminare come un vagabondo, senza più la possibilità di tornare indietro e con le mani piene di una sicurezza ed una fierezza che, tempo dopo, gli fece accettare la morte in un campo di fiori, con un sorriso sulle labbra e la consapevolezza che, seppur nessuno avrebbe ricordato di Filoteo Pelapatate, la sua morte non sarebbe stata vana.