[ basata sulla canzone Bergamo, dei Pinguini Tattici Nucleari
—https://www.youtube.com/watch?v=d1b3J3Se9p4
” Forse non te l’ho mai detto, ma per me tu sei come Bergamo “
Sì, ancora. Ancora la stessa canzone ripetuta all’infinito. Medesime parole e ritmo che anche i mobili avevano ascoltato milioni di volte. Anche il gatto aveva imparato a riconoscere quella canzone, sembrava che ci fosse abituato.
Per Nina non era mai abbastanza. Ogni volta che la sua canzone preferita, Bergamo, finiva lei doveva riascoltarla, carpire ogni dettaglio – seppur minuscolo – delle parole accompagnate dalla chitarra. Si poteva dire che erano diventati giorni in cui non ascoltava altro se non quella canzone, seduta alla scrivania, davanti ad un pezzo di carta macchiato d’inchiostro in modo da formare qualche parola buttata giù. Un flusso di coscienza interminato che lei scriveva da giorni.
Non era un diario, non ne aveva mai avuti. Era soltanto un foglio di carta stropicciato, bagnato da qualche lacrima che le cadeva.
Lacrime, proprio così.
Non erano giorni felici quelli. La verità è che erano i peggiori in tutta la sua intera vita.
— Ancora qualche mese se tutto andrà per il meglio. —
Così dissero i dottori ai suoi genitori. Loro volevano tenerglielo segreto, ma parevano aver dimenticato un particolare; l’irrefrenabile curiosità di Nina che raramente non si immischiava o non origliava.
Ancora pochi mesi e tutto sarebbe finito. Una vita così giovane stroncata precocemente, non c’era nessun modo per curarla o per prolungare ancora un po’ quel momento. L’avevano fatto per troppo tempo, sarebbe stato impossibile farlo nuovamente.
— Non c’è rimedio. Potete soltanto farle vivere questi ultimi mesi al meglio. Le abbiamo provate tutte, ci dispiace. —
A sapere la notizia erano soltanto in tre; la madre, il padre e la malata. Il resto del mondo non ne sapeva nulla, a stento conosceva la battaglia che ogni giorno Nina combatteva duramente contro il tumore. Operazioni, interventi, sembravano aver aumentato la sua vita e di quelle battaglie lei se ne prendeva la vittoria.
La guerra tuttavia sembrava vincerla il tumore. Non importava quanto ci si impegnasse, non poteva vincere.
Quando Nina ascoltò le parole dei dottori non riuscì a parlare. Era sempre stata una ragazza sveglia, e per quanto triste, un risultato del genere se lo aspettava. Eppure, nonostante se lo aspettasse, rimase sconvolta a sapere la verità. Era qualcosa di troppo duro da digerire.
Le lacrime le scesero spontaneamente, senza che nemmeno lei se ne accorgesse, mentre il vuoto le attanagliava lo stomaco dandole la nausea. Sembrava dovesse vomitare ma così non fu.
Volle tornare a casa il prima possibile ed i suoi genitori accolsero la sua richiesta, tentando di non lasciare che la tristezza e la paura di perderla li controllasse. Seppur dura loro dovevano farcela per lei. Dovevano accettare il fatto e farle vivere questi ultimi momenti nel modo migliore. Non sapevano se erano abbastanza forti per riuscirci, ma volenti o nolenti avrebbero dovuto farsi coraggio.
Da quel giorno Nina non uscì più. Andava solo a scuola, il pomeriggio rimaneva in camera e lasciava andare i propri pensieri su carta uno dopo l’altro.
Così eccola lì, seduta alla scrivania, impugnando una penna che a furia d’esser utilizzata stava cominciando a scaricarsi man mano.
Più e più volte la madre entrava in camera e le chiedeva di uscire, veniva sempre respinta con un no secco, con tono un po’ rauco che copriva la prova dell’aver pianto.
Ciò che scriveva su quel foglio non lo conosceva nessuno. Solo lei. Quando i suoi cercavano di sbirciare lei si arrabbiava e li cacciava bruscamente dalla camera. Mentre dormiva lo nascondeva accuratamente in un cassetto che chiudeva a chiave ed il giorno dopo lo riprendeva subito, anche prima di fare colazione, e con sé faceva partire la solita canzone dal nome della stessa città in cui era nata, Bergamo.
Così come la canzone, quella città le portava sempre un sorriso. Ci aveva vissuto tutta l’infanzia e di quel posto aveva bei ricordi. E adesso che era a Milano, quella canzone sembrava come riavvicinarla alla sua amata città.
Lì a Bergamo aveva conosciuto i suoi amici più stretti, le sue conoscenze e lui, Nicola.
Era strano; Nicola era alla stregua di un conoscente, di rado era riuscita a parlarci, ma nel suo cuore era la persona che occupava più spazio di tutti gli altri. Era cotta di lui da anni e progettava di parlargli quando sarebbe tornata da Milano.
Nina aveva avuto fin da piccola una grande immaginazione, forse anche più grande di quella degli altri ragazzi. La cosa curiosa però era che non sognava cose assurde, le piaceva piuttosto fantasticare sul suo futuro e pianificare tutto al minimo dettaglio. Voleva studiare psicologia e filosofia a Milano e voleva poi tornare a vivere nella sua città natale. Avrebbe stretto i rapporti con Nicola e un giorno avrebbe detto lui tutto quanto.
Era un futuro semplice ma riusciva ugualmente a renderla felice… ma ora che il tumore stava vincendo tutto si sgretolava e la sua organizzazione andava a monte.
Di questo passo non sarebbe più riuscita a tornare a casa. Sebbene non potessero far molto, i medici desideravano ugualmente visitarla e preferivano che lei rimanesse in città per fare in modo di monitorare settimanalmente i mesti passi avanti della malattia.
Il ritorno a casa poteva essere soltanto un sogno lontano, di quelli irrealizzabili. Non poteva più muoversi da Milano, ci sarebbe morta.
Poteva ormai scordarselo, non sarebbe mai tornata lì. E così voleva anche scordare chiunque volesse rivedere.
Anche Nicola, anzi, specialmente Nicola. Ma le era praticamente impossibile. Ci provava in tutti i modi, provava a ripensare ad ogni dettaglio di lui che potesse infastidirla a tal punto da facilitarla a dimenticarlo… ma ogni volta che andava in fondo, anche il peggior difetto diventava perfetto.
Per chiunque quel ragazzo non aveva niente di speciale. Non era il solito ragazzo popolare come tanti altri, era un ragazzo semplice che spesso aveva lui stesso problemi nel socializzare. Nascondeva tutto con un velo di simpatia e bene o male riusciva a scambiare due parole con chiunque avesse a tiro per non sembrare timido.
Non gli piaceva esserlo, per questo lo nascondeva. Ma con uno sguardo più attento si riusciva facilmente a capire com’era davvero.
Sapeva intrattenere e sapeva essere un’ottima compagnia, a stare con lui non ci si annoiava mai.
Ne era talmente tanto cotta che a stento riusciva a trovare veri e propri difetti. Dicono che quando una persona la ami riesci ad accettare più facilmente i suoi difetti, forse era proprio per questo motivo che non ne trovava nemmeno mezzo. Li aveva così accettati che non li considerava più tali.
Sul foglio scriveva tutto ciò che le veniva in mente. Ogni riga menzionava la sua fiamma, parlava di lui in ogni forma come Leopardi parlava della siepe a sé cara. Bergamo era perfetta forse proprio perché c’era lui. La città era la torta e il ragazzo la ciliegina, assieme si completavano e formavano nel cuore di Nina un’immagine di casa sua, la sua vera casa, mozzafiato.
Mentre scriveva le parole Riccardo ed Elio, le voci della sua band preferita, i Pinguini Tattici Nucleari, la accompagnavano. Ogni verso sembrava parlare di quella dannata situazione in cui era.
Io vorrei percorrerti di notte come fossi un’autostrada, ma posso solo toccarti e cazzo non mi basta, non mi basterà mai.
Nicola era perfetto in tutto per lei. Così perfetto da essere irraggiungibile, come il dipinto migliore che tutti osservano a distanza di sicurezza. Lei invece era una semplice turista, qualcuno di momentaneo che osserva la raffinatezza e la minuzia in ogni pennellata.
Non aveva modo di avvicinarsi perché era consapevole che se lo avesse fatto lo avrebbe solo fatto soffrire. Lei era destinata a morire, ne era a conoscenza, e allora che senso aveva legarsi a qualcuno? Solo per farlo soffrire?
Desiderava rimanere solo un ricordo lontano, qualcuno che se nominato ciò che viene in mente è solo una vaga idea, un qualcuno di sentito, sì, ma che nessuno si sforza di ricordare.
Voleva solo questo… allora perché la spaventava avere un’idea del genere? Perché era così difficile accettare l’idea di sparire, di morire e poi mai nessuno si sarebbe ricordata di lei?
A lei non sarebbe toccato un dolce finale. Non voleva nemmeno che questo arrivasse, sapeva che avrebbe chiesto troppo e avrebbe ferito qualcun altro per puro egoismo… eppure la spaventava, la faceva star male a tal punto da passare giornate intere a piangere senza tuttavia stoppare la musica.
Più ci pensava, cercando di convincersi che era la scelta giusta, e più dei brividi le attraversavano le vene fino ad arrivare allo stomaco, spingendo così tanto da chiuderglielo. Non mangiava quasi mai durante la giornata, l’appetito non si degnava mai di arrivare per lei. Anche solo un pasto al giorno era troppo e a stento non vomitava.
Forse la cosa che più la rendeva così era non esser stata capace di parlare prima riguardo i suoi sentimenti. Il suo più grande rimpianto era quello di aver aspettato per tanto tempo, ed ora che non ne aveva più era rimasta a mani vuote, piena di paure, di parole da dire, di sentimenti da esprimere. Un fiore che a furia di aspettare maggio stava appassendo e nessuna cura poteva farla fiorire una seconda volta.
Tutto questo era colpa sua. Se ora Nicola poteva rimanere soltanto un sogno distante era soltanto colpa sua.
Non avrebbe mai più potuto vedere un suo sorriso, né tanto meno un suo sorriso a lei dedicato. Poteva solo pregare che qualcun’altra avrebbe potuto renderlo felice come lei non avrebbe mai potuto. Voleva solo che lui fosse felice. Lei lo amava davvero, avrebbe dato ogni cosa per lui. Ed anche se la feriva l’idea che inevitabilmente sarebbe stato assieme a qualcun’altra doveva accettarlo.
Era andata così. Non poteva fare nient’altro se non piangere ininterrottamente. Le lacrime non smettevano mai di scendere, le solcavano il viso a tal punto che vederla senza sarebbe stato strano. E così passo i mesi restanti. Non volle far nulla, decise di rimanere in stanza fino alla sua morte, scelse anche di non andare più a scuola, aspettando inesorabilmente che il fuoco bruciasse fino alla fine la cera, che l’ultimo granello di sabbia nella clessidra segnasse la fine triste che aspettava.
Aveva anche smesso di scrivere. Non le serviva più, aveva accettato la sua colpa ed il suo destino.
L’ultima cosa che scrisse fu una piccola dedica: ” Grazie Bergamo per avermi cresciuta nella tua città. Sei sempre stata e sempre sarai casa mia “.
” Io vorrei vedere i tuoi pensieri dietro a quella frangetta.
Ti porto in centro e forse capirai
Che cosa intendo quando
Ti dico che sei bella come casa mia “